Sommario
Un'analisi intratestuale permette di identificare una complessa rete di relazioni tra diversi luoghi del Decameron rivelando numerose analogie ed opposizioni tematiche che corrispondono ad altrettante chiavi di lettura. Il tema del matrimonio, dell'amore, della nobiltà e della pazienza rimandano, tra le altre, alle novelle II 9 e II 10 (l'inizio del privilegio di Dioneo contrapposto alla sua fine) come anche alle novelle IV 1 e V 9 o alla premessa di Emilia alla sua nona narrazione.
Se in questa sede l'attenzione è volutamente stata posta sulla protagonista femminile, altrove, in uno studio che è da ritenersi complementare al presente ("La novella di Griselda di Boccaccio" pubblicato negli Atti della Giornata di Studi su "La circulation des nouvelles au Moyen Age", di prossima pubblicazione presso le edizioni dell'Orso) l'accento è invece posto su Gualtieri.
Seguendo una linea diacronica si esaminano le rappresentazioni della natura privilegiando le diverse funzioni che esse possono assumere nelle loro manifestazioni letterarie (esordio stagionale, locus amoenus, hortus conclusus). Si dimostra, in particolare, quanto il cosiddetto ‘esordio stagionale’ sia soggetto a diminuzione di importanza, nel corso di circa un secolo e mezzo, sia per la variazione delle norme retoriche in merito sia per l’evolversi della sensibilità poetica, andando a confluire nel motivo della lode, in quello esornativo, ecc., e di conseguenza vari di presenza numerica e posizione all’interno della singola lirica, fino alla sua scomparsa.
A seguito di uno studio apparso nel precedente numero della rivista (Rustico comico in Va), si valuta ora anche per i sonetti cortesi del Filippi l’interesse della testimonianza del ms. Vaticano lat. 4823, postillato da Angelo Colocci: interesse sul piano linguistico, ecdotico (come per il settore comico, in particolare, si osservano – oltre a varianti adiafore – lacune di varia estensione, segnalate dall’amanuense con tre puntini e non integrate dall’umanista, in corrispondenza di luoghi non ‘difficili’ e non illeggibili del presunto modello, il ms. Vat. lat. 3793) e storico-letterario (alcune postille accostano lessico e versi di Rustico a Petrarca; un verso di Rustico viene ripreso a margine e unito a un verso composto dallo stesso Colocci sul tema del dolore e della morte).
In questo saggio si presenta un’edizione critica, corredata di apparato e note, dei momos di Gómez Manrique, poeta castigliano del XV secolo. Si tratta di due testi brevi, leggeri, che si collocano a metà strada tra la poesia destinata all’intrattenimento della corte e la rappresentazione teatrale. In particolare, risulta interessante il più tardo dei due momos che, scritto in occasione di una festa organizzata per il quattordicesimo compleanno di Alfonso di Castiglia, fu “recitato” dall’infanta Isabel e da otto dame di corte.
L’edizione dei due testi è preceduta da uno studio sulla diffusione dei momos in Castiglia e da un’indagine sui due canzonieri di Gómez Manrique, noti con le sigle MN24 e MP3.
Una delle rarissime divergenze fra il canzoniere K ed I consiste nell’inserzione, nel secondo ms., di un piccolo corpus attribuito a Blacasset posto tra la sezione di Blacatz e quella di Guilhem Figueira, fra le canzoni. È ipotizzabile che tale corpus derivi da una fonte, attestata anche nel canzoniere a, confluita in k successivamente alla compilazione di K. D’altra parte, la sequenza Blacatz-Guilhem Figueira sembrerebbe rimandare ad una fonte autonoma di origine provenzale “arricchita” in Italia dall’aggiunta delle vidas.
Si prende qui in considerazione la prima traduzione italiana del libro che inaugurò il genere picaresco in Spagna: La vida de Lazarillo de Tormes y de sus fortunas y adversidades. Con il titolo di Il Picariglio Castigliano, il Lazarillo fu tradotto e in gran parte rielaborato dallo stampatore veneziano Barezzo Barezzi che lo pubblicò una prima volta nel 1622, facendone seguire una seconda edizione nel 1626, e una terza, con notevoli varianti rispetto alle altre due, nel 1635.
L’attenzione è qui rivolta soprattutto all'aspetto filologico-testuale della traduzione barezziana nel tentativo di rintracciare il testo (o i testi) di partenza presenti sul suo tavolo da lavoro nel momento del confezionamento del prodotto. Si ricostruisce quindi la tradizione primitiva del Lazarillo de Tormes, seguendo in modo specifico la pista di un’importante testimonianza fiamminga dalla quale derivano le altre traduzioni europee e dalle quale (per interposta testimonianza) si approda al Picariglio Castigliano.
Don Pacuvio, personaggio buffo della Pietra del Paragone di Rossini e Romanelli (Milano, Teatro alla Scala, 26 novembre 1812), rappresenta la figura parodica del letterato tantopresuntuoso quanto ignorante: intenzione parodica, del resto, messa in evidenza fin dal nome, che è quello del più tumido dei tragici latini. In questa veste, Don Pacuvio dice continuamente degli strafalcioni, che svelano la sua goffa ignoranza, ma che tuttavia, come per lo più succede in questi casi, hanno una loro “logica” e dunque sono passibili di una spiegazione. Queste brevi note sono dedicate appunto alla “logica” interna e all’analisi di due di questi spropositi, riferibili al tipo degli “strafalcioni paronomastici”.
L’articolo propone uno studio su alcune caratteristiche della raccolta di poesie religiose contenute nel ms. Extravag. 268 della Biblioteca Herzog August di Wolfenbüttel, redatto verosimilmente in Italia settentrionale intorno alla metà del secolo XIII (la raccolta nel suo complesso è datata dal copista al 1254); allo studio è affiancata una nuova edizione di cinque di esse. La raccolta rappresenta un unicum nel panorama della poesia occitanica – che non conosce altri progetti editoriali dedicati al registro devozionale di così importanti dimensioni – e trova rispondenze più dirette con esperienze condotte nel Norditalia (con particolare rimando a codici come il berlinese ex-Saibante o il manoscritto della Marciana che conserva i poemetti di Giacomino da Verona), riguardanti non solo i criteri con cui i testi sono raccolti, ma anche i temi trattati dai testi. In questo, la raccolta mostra la sua perifericità rispetto alla grande letteratura occitanica (e in particolare al movimento trobadorico), acuita per di più dalla scorrettezza della lingua utilizzata, ma costituisce tuttavia un prezioso documento sia della fortuna della letteratura in lingua d’oc in Italia settentrionale sia dell’indirizzo verso il quale la cultura di tale zona d’Europa andava evolvendo tra la metà e la fine del secolo XIII.
In questo articolo intendo dimostrare che le descrizioni di manufatti artistici (statue, affreschi, oggetti decorati) contenute in vari romanzi francesi del XII secolo non erano dei semplici espedienti retorici che gli autori utilizzavano per sospendere la narrazione o creare l’effetto del meraviglioso, ma erano parti importanti della narrazione che si legavano strettamente alla trama del romanzo. Il mio studio si è concentrato sull’analisi di questi legami di cui propongo una classificazione tipologica e uno sviluppo cronologico. Infine, come esempio del lavoro svolto, riporto la mia lettura di due brani descrittivi tratti dall’Erec et Enide di Chrétien de Troyes che spiccano proprio per il loro legame con la trama dell’opera.