La poesia di Braccio Bracci, rimatore aretino vissuto nella seconda metà del Trecento presso la corte viscontea, appare per molti aspetti tipicamente cortigiana ed encomiastica; accanto a componimenti puramente celebrativi, ne spiccano però altri di carattere politico e morale. Tra questi, spiccano i sonetti Deh, non guastare il popol cristiano, O santo Pietro, per Dio, non restare ed El tempio tuo, che tu edificasti, scritti con ogni probabilità, tra il 1375 e il 1378. Essi rappresentano, per l'argomento trattato, una vera e propria sezione all'interno della sua produzione poetica; l'autore vi denuncia la decadenza della Chiesa e dei suoi ministri, innalzando una voce di protesta e di sdegno contro i mali che travagliavano la cristianità e che avevano dato origine al Grande Scisma d'occidente. Braccio rivolge quindi al papa, a Dio e a san Pietro un appello affinché pongano fine a tale sciagura.
L'analyse de quelques traits stylistiques et structuraux du corpus lyrique du troubadour Arnaut Daniel permet d'en relever une organisation frappante. Cela a permis d'avancer des hypothèses sur la formation de l'obrador du poète périgourdin, dont le corpus est ponctué par des séries thématiques organisées dans quelques regroupements homogènes caractérisées par des tournures de style particulières. La clef de voûte est la chanson XII (PC 29.8) qui introduit un changement poétique, voire le passage des rimas dissolutas aux rims leyals, des textes à "oda continua" aux textes à "oda non continua" et des vers longs aux vers courts. On pourrait conclure qu'Arnaut a réécrit ses poèmes selon de nouveaux critères stylistiques. Finalement, si l'hypothèse est bonne, la sextine et tous les textes qui lui sont structurellement liés feront partie de la première étape poétique d'Arnaut escolier (entre 1170 et 1180 environ); les textes à rims leyals, et ceux caractérisés par des vers courts et des rimes serrées, feront partie de la deuxième étape poétique d'Arnaut, dont le sommet est sans aucun doute la chanson L'aur'amara (PC 29.13).
Nella letteratura laudistica e della sacra rappresentazione si trovano tanti nomi, che offrono interpretazione esplicita; si tratta di Gesù, Maria, Michele, Raffaele, Gabriele, dei cori angelici, di santi (fra i quali Domenico, Francesco - che si intrecciano con il magisterio dantesco - Giovanni, Chiara, ecc.), di locativi legati a vicende sacre o a culti particolari. Le laude furono, pur quasi sempre senza innovare, strumento divulgativo delle vite dei santi, dei loro nomi e della loro interpretazione, quasi una Legenda aurea volgarizzata e versificata, anche se, per l'interpretatio, non raggiungono le finezze e le complicazioni di quel "dizionario onomastico" che è la Legenda. La conoscenza del significato profondo dei nomi assume importanza esegetica, a livello letterario ed iconografico, e talora si rende utile ai fini della ricostituzione del testo.
La curiosa voce straziatore nel significato di 'giullare' compare in una delle edizioni di riferimento della versione toscana del volgarizzamento dei Dialogi di Gregorio Magno.
Lo scritto è trasposizione segnica di secondo grado, pars pro toto della parola che si "ascolta" come pronunciata e si "vede" come gestita. Bembo osservava già per il Petrarca il valore non metaforico del vedere e dell'ascoltare la poesia che si legge. Tali udire e vedere possono dirimere questioni esegetiche. Esempi si danno in Dante (Inf. XIII.15; Purg. III.126); con tali varianti "per dizione" o "per gesto" si potrebbe ammettere che alberi strani sia soggetto di fanno lamenti e che questa faccia dica del volto suo Manfredi. La discrasia fra scritto e significato testuale è massima nel teatro. Da quattro luoghi euripidei (Med. 623-626, 1366-1368; Bacch. 1167, 1383-1387) si può inferire che un'eroina non uccida per gelosia e un'altra sia personaggio autoriale. Finalmente, l'esegesi di per e cun del cantico francescano troverebbe buon sussidio se il silenzio di fonti pretestuali potesse ridursi attraverso reminiscenze delle Confessiones agostiniane.
A margine della nuova edizione critica di Jordi de Sant Jordi, di prossima pubblicazione nella collana "Els Nostres Clàssics", si anticipa qui la discussione dei principali nodi problematici del testo, con alcune proposte di soluzione. Jordi de Sant Jordi (Valenza, fine del sec. XIV - 1424) è autore di un pregevole canzoniere, molto variato al suo interno, di diciotto componimenti in una lingua marcatamente occitanizzante. Elogiato dal Marchese di Santillana nel poemetto La Coronaçión de Mossén Jordi e nel Prohemio e carta, fu al servizio di Alfonso il Magnanimo, che lo investì cavaliere nel 1420. È recentissima una scoperta d'archivio da cui si evince che era figlio di uno schiavo musulmano, poi converso e liberto.
Il presente contributo intende ripubblicare con corredo di note e parafrasi due ballate di Guittone d'Arezzo (attestate da un unico testimone del secolo XIII) sui fondatori dell'ordine francescano e domenicano. Dall'esame delle strutture si evince una sorta di chiasmo culturale che fa sì che il componimento per Francesco sia realizzato attraverso una costruzione di tipo metrico e retorico "alto", mentre quella per Domenico mostra il ricorso a canoni di ascendenza più popolare: il che parrebbe in contraddizione con il "profilo" stesso dei due santi, dei quali il primo fa riferimento alla semplicità evangelica ed il secondo al mondo della cultura. Con il supporto di fonti letterarie ed iconografiche coeve si tenta di risolvere questa apparente contraddizione.
La canzone trobadorica Longa sazon ai estat vas Amor è nota per essere stata tradotta da Iacopo Mostacci in Umile core e fino e amoroso, l'unica chanson de change della lirica federiciana. Di autore incerto, Longa sazon è schedata nella Bibliographie der Troubadours di Pillet e Carstens al numero 276,1, come l'unica poesia di Jordan de l'Isla de Venessi, pur essendo attribuita anche al probabilmente omonimo Escudier de la Ylha, oltre che a Cadenet, Peire de Maensac, Rostanh de Merguas, Sordello, Pons de Capduelh, Peire Raimon de Tolosa e a un gauselm (forse Gaucelm Faidit). Il saggio ha lo scopo di ordinare i dati relativi alla questione attributiva sparsi negli studi e di fornire una nuova edizione critica del componimento: il risultato testuale, ottenuto con le procedure ecdotiche messe a punto nell'edizione delle poesie di Folchetto di Marsiglia (Pisa, Pacini, 1999) è omogeneo alla tradizione cui deve aver attinto il Mostacci per la sua traduzione poetica.