Sommario
Il canzoniere provenzale R reca una strofa supplementare della canzone di Bernart de Ventadorn, Pel dous chan que·l rossinhols fai (BdT 70,33), finora non conosciuta da repertori ed edizioni. Nella strofa si celebra l'amore finalmente corrisposto, adoperando alcuni motivi topici, come quello della misura del tempo, che creano un legame interno alle sette canzoni (alcune non autentiche) di questa sezione ventadoriana del codice. Si esaminano poi alcuni testi anonimi: Ges no m'eschiu nuls per no mondas mans (BdT 461,127) cui si associa Er'avem n'Ait de Borbo (BdT 406,10a). I due testi sono in corrispondenza, adoperano schemi metrici di Peire Vidal e derivano per argomento e formule dal genere plazer-enueg. BdT 406,10a, la cui attribuzione a Raimon de Miraval si dimostra infondata, contiene tra molti nomi non altrimenti noti, quello dell'autore di BdT 461,127. Analoghe caratteristiche compositive e recensionali consentono di delimitare un tipo di produzione minore che illumina sulla fortuna giullaresca di Peire Vidal e su quella di un genere canonizzato.
La Carta de Logu, il testo di legge medievale sardo emanato da Eleonora d'Arborea tra il 1388 e il 1392, ma composto dal padre Mariano IV tra il 1355 e il 1376, è tramandata da un manoscritto cartaceo e da 9 edizioni a stampa. La tradizione a stampa ha come capostipite l'incunabolo del 1480-1485, e comprende un'edizione particolarmente accurata del giureconsulto sassarese Girolamo Olives, datata 1567 e redatta in sardo logudorese, e un'edizione del 1805, sulle quali si sono basati gli storici moderni nelle loro pubblicazioni del testo. La collazione fra il manoscritto, l'incunabolo e le stampe del 1567 e del 1805 mostra incontrovertibilmente che le due stampe sono state esemplate sull'incunabolo, peggiorandone il testo con ulteriori errori di trascrizione e interventi arbitrari. L'esame particolareggiato di alcune varianti mette inoltre in luce la superiorità del manoscritto rispetto alle lezioni tramandate dall'incunabolo, rivelando in quest'ultimo un collettore di varianti, forse approntato per contemplare nel testo legislativo le divergenze diatopiche del vecchio Regno arborense. La lingua della Carta de Logu si può enucleare dal confronto fra le lezioni del manoscritto e dell'incunabolo, e nel complesso essa rispecchia una facies linguistica tipica della scripta arborense della seconda metà del Trecento.
La branche 4 è presente nel Roman de Renart in tre redazioni distinte, una "di maggioranza" trasmessa dai manoscritti ADEFGBKLO, una "di minoranza" trasmessa dai manoscritti HICM, e una "corta" trasmessa isolata dal solo manoscritto H (che è dunque testimone di due redazioni). L'analisi comparativa dei testi, e in particolare delle caratteristiche della redazione doppia del manoscritto H, nonché della posizione stemmatica di quella recata dai manoscritti H I C M, inducono a formulare l'ipotesi che la redazione "di minoranza" sia anteriore a quella "di maggioranza", ma anche che la redazione "corta" sia posteriore alle altre, e quindi rimaneggiata. L'intreccio della branche 4, cioè la storia di Renart e Isengrin nel pozzo, è d'altronde alluso nelle branches 6 e 9, e attestato in altre opere della letteratura medievale, non solo romanza. L'esame di queste relazioni intertestuali permette di evidenziare tanto l'influenza del Roman de Renart, quanto alcuni suoi legami con la tradizione ebraica (Disciplina clericalis e Raschi di Troyes).
This article reassesses the metrics of the earliest surviving French poem in the light of recent developments in linguistic and metrical theory. It challenges the conclusion of Bulst (1971) that the metre is that of a Latin sequence and analyses, by means of a syllable inventory, the proposal of Purczinsky (1965) that the Sainte Eulalie's versification has affinities with Germanic strong-stress metre. This article rejects the view of Leupin (1988) that the Sainte Eulalie must have been the first poem composed in French, and argues that that it may have been one of a number of early attempts to compose accentual verse in an oxytonic language: its verse design corresponds closely to that of Beowulf or the Ludwigslied, but with a "right-strong" template. Such verse, if attempted much earlier than the 880s would have been disguised by Latin orthographical conventions, as argued by Wright (1982, 1994 etc.).
Nelle lingue romanze molti verbi, sostantivi, espressioni (it. badare e sim., fr. muser, couart e sim., it. dare retta) derivano da forme latino-volgari che paragonano i gesti dell'uomo a quelli degli animali, e in particolare del cane. Dal vicino campo semantico della caccia provengono altre forme come sp. hallar, it. cercare e sim., it. scovare, fr. attraper ecc. Perciò va ricuperata l'ipotesi di Giovanni Alessio che it. trovare, fr. trouver, prov. trobar provengano da un lat. *TROPARE, dal gr. tropóo, verbo di caccia di cui il documentato CIRCARE sarebbe il calco. Il prov. trobar, trobador sarebbe dunque una sorta di calco semantico del latino INVENIRE, INVENTOR. Non dunque un *TROPARE 'comporre tropi' > 'poetare' > 'trovare', ma un *TROPARE 'girare in cerca della preda' > 'trovare' > 'poetare'. Non dalla sfera letteraria a quella materiale, ma viceversa.
Il riesame della tradizione manoscritta e dello stemma codicum dei testi dedicati all'affaire del corn dimostra l'erroneità dell'opzione na Ena (invalsa presso gli editori da Contini in poi). Il nome originario della dama del corn non è Ena ma Aina. Inoltre, sulla base della datazione precoce proposta da G. Gouiran, si avanza l'ipotesi che l'intera tenzone possa configurarsi come una rivisitazione burlesca, giocata sulla polisemia del corn ('corno [strumento musicale]' e 'deretano'), dell'episodio della "Gioia della Corte", clou dell'Erec et Enide di Chrétien de Troyes (dove è appunto il corn suonato da Erec a dare il via alla Joie).
La crociata che Thibaut di Champagne condusse in Oltremare a partire dall'agosto 1239, prima di poter essere intrapresa conobbe molte difficoltà e ritardi. Thibaut dovette prima risolvere i problemi legati alla sua successione al trono di Navarra, risolvere un conflitto che lo vide opposto alla reggente di Francia, sventare gli attacchi di alcuni nobili francesi suoi rivali, venire a patti con la cugina Alice per farle rinunciare a ogni pretesa sulla contea di Champagne. Si trovò inoltre coinvolto nella crociata contro il conte di Tolosa, dove egli tentò di svolgere, senza successo, un'azione diplomatica in favore di quest'ultimo. L'articolo illustra gli avvenimenti di quest'epoca alla luce delle liriche in volgare ad essi ispirate, in gran parte scritte dallo stesso Thibaut a scopo di propaganda. Dimostra inoltre l'appartenenza a questo periodo della canzone Consiros, com partiz d'Amor e l'attendibilità dell'attribuzione ad Aimeric de Belenoi fatta dai manoscritti.
L'osservazione della struttura materiale delle tavole antiche della sezione delle tenzoni nei canzonieri IK combinata con il confronto (nella successione dei componimenti e nelle varianti relative) con gli altri manoscritti che le riportano, permette di scoprire una stretta relazione con i canzonieri ADDa (nella prima parte della sezione) e a1 (nella seconda). La relazione individuata è di grande interesse per la definizione dei rapporti fra i canzonieri italiani e quello di Bernart Amoros, in particolare a proposito di componimenti - le tenzoni - che dovevano essere tramandate in blocchi precostituiti, ma assume anche un certo valore metodologico per la precisa combinazione dei dati della "filologia materiale" con quelli della filologia testuale tradizionale.
Il settecentesco Romanzo di Filerot e Anthusa, composto in romeno e edito nel 1996 da Angela Tarantino, è una tarda derivazione del Paris e Vienne francese antico, che tanto successo e tante derivazioni ha avuto per secoli. In quest'articolo l'autore segue il filo di alcuni temi etnografici contenuti nella versione romena: quello della nascita adulterina dell'eroina, quello della promessa di un dono che verrà precisato in seguito, quello dell'entrata inconsapevole di un cacciatore in un altro mondo, cioè nell'aldilà. Durante una caccia, un animale conduce l'eroe in un paese sconosciuto, caratterizzato dal rallentamento del tempo: è questo fenomeno che segnala l'inequivocabile ingresso in una nuova dimensione. Filerot è un romanzo composito formalmente (contiene prosa e versi, di andamento metastasiano , e inserzioni epistolari), ma anche contenutisticamente: si pensi che a un certo momento l'eroe, erede di Paris, si chiede se la faccia non gli stia diventando nera: qualcosa di insolito, ma non impossibile nei romanzi. Il protagonista del romanzo è lui stesso, dunque, un lettore di romanzi, un Don Chisciotte dei Balcani.
Il tema del porto è frequente nella letteratura a partire dalla Bibbia. Esso è particolarmente significativo in molti generi letterari medievali, ma la sua funzione è viene caricata di particolare peso come metafora dell'esperienza della gioia e del dolore dai trovatori provenzali del Medioevo. Nell'articolo sono analizzati alcuni passi tratti dalla produzione trobadorica, che riprendono le emozioni dell'amante, la soddisfazione o, più spesso, la speranza delusa.
La actual interpretación del v. 20 del Poema de Mio Cid dice que este verso es un juicio pronunciado contra el rey Alfonso VI. Sin embargo, esta solución no armoniza con el espíritu de la obra. En la Chevalerie Ogier franco-véneta hay un paso que describe la entrada de Ogier a la ciudad de Marmora, paso paralelo a la descripción de la entrada del Cid a Burgos en el Poema. Ambos pasos se encuentran al inicio de la trama y se refieren a la necesidad del protagonista de obtener algo para salir de una situación de peligro y reobtener el status social perdido. En la Chevalerie Ogier se pronuncia una invocación a Cristo para que el protagonista reciba un "consejo" que lo salvaría. En el Códice de Per Abad la palabra Señor está escrita con mayúscula. Buscando en los vocabularios los significados que podía tener bueno y buena, encontramos que buena, forma de plural neutro en latín, era muy frecuente en la época en cartas notariales, con el significado de 'bienes', 'feudos' - justamente lo que el Cid necesitaba para reconquistar su status social. Así, nos encontramos probablemente en frente de un error del copista, que no habrá entendido la expresión latina ya fuera de uso y de una forma aparentemente femenina. El v. 20 del Poema de Mio Cid se debería interpretar, por consiguiente, como: "¡Dios, qué buen vasallo, si tuviese bienes, Señor!"